Ventiquattro ore

“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.”

Cesare Pavese

(Nella foto, Caravaggio, La Crocifissione di San Pietro)

Rimasto solo, guardò l’ora. Mezzanotte e un quarto. Il tutto era durato appena un quarto d’ora. Si sentiva in perfetta forma fisica ora, in grado di poter fare tutto quello che avesse desiderato fare fino alla mezzanotte del giorno dopo. Un giorno intero, ventiquattro ore, questo gli era stato concesso. Ma gli ultimi quindici minuti erano sembrati durare un’eternità. Solo tre ore prima era stato seduto al tavolo di un ristorante con altri due amici e tre ragazze, abbastanza più giovani di loro uomini, due quasi fidanzate dei suoi amici e una amica delle altre due, coinvolta nella cena per completare le tre coppie, dato che lui non aveva nessuna da portare. Serata bella, buona cena, un giretto e un pub per dopocena, poi saluti calorosi ai suoi due amici e alle loro compagne, cortese passaggio a casa alla nuova conoscenza, bacetto sulle guance e promessa di rivedersi. Qualche minuto prima di mezzanotte era già nel soggiorno del suo appartamento, sul divano a rilassarsi con un dito di vodka ghiacciata. La fitta al braccio sinistro era arrivata all’improvviso, prima come un leggero fastidio, quindi più dolorosa, poi un forte dolore al petto, da togliere il respiro, seguito da un altro spasmo ancora più forte. È la fine, si era detto. Fu allora che l’aveva vista. Era seduta su una delle due poltrone che arredavano il soggiorno, quella alla sua sinistra. Lo guardava pensierosa.

(…)

Il racconto è integralmente incluso nel libro IBRIDIZZAZIONI, pubblicato a settembre 2019.

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