“Birds fly high in the air and survey broad vistas of mathematics out to the far horizon. (…) Frogs live in the mud below and see only the flowers that grow nearby. (…) Mathematics needs both birds and frogs.”
Freeman Dyson
Se c’erano degli animali che proprio non sopportava, questi erano le rane. Non perché siano feroci, pericolose, cattive o intollerabilmente schifose, era solito dire, perché anzi da questo punto di vista erano ben altri gli animali da mettere nella sua lista nera, a partire da scarafaggi, topi, pipistrelli, serpenti e compagnia varia. Nulla a che vedere col timore o la ripugnanza che provava verso molti di questi altri animali. Il fatto è che, sebbene le ritenesse giustamente innocue e tranquille, le trovava brutte e miserabili. Non ne faceva loro una colpa, ovviamente, ma quella testa grande, coi bulbi oculari enormi, quella bocca larga, con la lingua attaccata in avanti e piegata all’indietro, da estrarre fuori velocemente semplicemente rovesciandola, quelle zampe posteriori rannicchiate, spropositate e possenti, in stridente conflitto con le anteriori, corte e tozze, aperte come sul punto di abbracciare, quelle dita lunghe, simili ad artigli, che sembra lottino per emergere dalla membrana interdigitale che le trattiene, quella pelle nuda, viscida e umidiccia, quasi sopportabile sul dorso verdastro picchiettato dalle macchie scure, ma orribilmente bianca e viscida sul ventre, quel gozzo floscio che riescono a gonfiare di aria in maniera smisurata prima di gracidare fastidiosamente, tutte quelle mostruosità, ecco, gli apparivano orrende e disarmoniche. L’abiezione gli veniva suggerita poi dalla loro esistenza in acque stagnanti, quasi sempre circoscritte, limitate, a nutrirsi di insetti, vermi e lumache.
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Il racconto è integralmente incluso nel libro IL LABIRINTO, pubblicato ad aprile 2020.