La mozzetta

“E anche gli occhi di Calogero Maria Rizzuto erano orgogliosi, dell’intera famiglia, figlio compreso. Certo. Perché, si era detto Salvatore Capuano, non si può essere orgogliosi di un figlio autistico?”

Salvatore Capuano accarezzò la testa, dai capelli neri e ricci, con un gesto affettuoso e quasi paterno. Non avevano avuto figli, né maschi né femmine, lui e sua moglie, unico cruccio della loro vita, da ogni altro punto di vista felice. Aveva avuto sicuramente le sue occasioni per potersi distrarre, come si suol dire, per concedersi qualche piacere extraconiugale, occasioni non certo intenzionalmente ricercate ma sempre casualmente intervenute o anche procurate ad arte da donne di buona volontà. Perché bello non era, Salvatore Capuano, per quanto la bellezza sia entità relativa e misteriosa, ma interessante sì. Sapeva parlare, narrare, argomentare, ammaliare addirittura, pur restando sempre discreto, evasivo e impenetrabile. Ma mai si era lasciato andare, era caduto in tentazione, e non per paura di essere scoperto, di essere ricambiato con la stessa moneta, ma per sua precisa volontà di rispettare la sua donna, la sua compagna di vita, sua moglie. La testa che veniva amorevolmente accarezzata, tra rabbia mal frenata e sussulti continui, era quella di Gaetano Rizzuto. Famiglia di medici i Rizzuto, a partire da Calogero, medico di campagna e sindaco, passando per Gaetano Saverio, chirurgo di larga fama, per arrivare a Calogero Maria, attuale sindaco e primario di neurochirurgia in tre cliniche di sua proprietà nella provincia, chiacchierato quanto basta per alcune delle sue amicizie, padre del giovane e riccioluto Gaetano. Calogero Maria Rizzuto aveva compreso ben presto che la tradizione medica di famiglia doveva virare sul femminile, andava messa nelle mani della primogenita Eleonora, stante la circostanza dolorosa dell’autismo di Gaetano. Gran bella ragazza Eleonora, medico e specializzanda in cardiochirurgia.

(…)

Vedendola stringersi vicino il fratello, la prima volta che li aveva incontrati, Salvatore Capuano aveva pensato più che ad una coppia di fratello e sorella ad una mamma col proprio figlio, mamma poco più che coetanea, naturalmente. La vera mamma, Serafina Salerno, a sua volta se li guardava entrambi, figlia e figlio, con occhi vigili e orgogliosi. Orgogliosi, certo. E anche gli occhi di Calogero Maria Rizzuto erano orgogliosi, dell’intera famiglia, figlio compreso. Certo. Perché, si era detto Salvatore Capuano, non si può essere orgogliosi di un figlio autistico? Lui che non aveva avuto figli, considerava i figli un dono divino, al di là di fortuna, salute e ricchezza, con l’unica eccezione qualora fossero delinquenti e portassero disonore. Ovviamente non aveva avuto una controprova del suo sentire, cosa che gli dava la serenità di chi fortunatamente non era stato messo davvero alla prova dei fatti. La mozzetta è un amico fidato. Non si allude certo alla mantellina corta a bottoni portata da papi, cardinali, vescovi e via dicendo, di colore rosso scarlatto, viola o nera, con varianti più o meno accese, a seconda del grado, solo una coincidenza terminologica banale. La mozzetta vera si tiene in tasca, al sicuro, tranquilla e pronta all’uso, all’occorrenza, efficiente senza costituire pericolo per il proprietario né violare leggi, ma abbastanza letale per eventuali rivali, a saperla bene usare. La mozzetta è un coltello. Un coltello il cui uso più frequente è quello di incidere con la sua lama affilata come un rasoio i rami sui quali praticare l’innesto, senza sbavature e strappi del tessuto vegetale, nettamente, per un innesto ben fatto ed efficace. Un coltello da specialisti del settore, da contadini veri, che deve il suo nome alla sua estremità con la lama priva di punta, tronca, mozza appunto. Un coltello adatto al solo uso di taglio, tale da soddisfare pienamente la legge del 1908 emanata dal governo Giolitti, che in un periodo di intemperanze sociali e politiche nella neonata Italia, un periodo di disinvolto uso dei coltelli, limitava a soli  quattro centimetri la lunghezza della lama dei coltelli a punta liberamente permessi senza un motivo più che giustificato, ma aumentava tale limite a dieci centimetri per la lunghezza delle lame dei coltelli a punta mozza. Salvatore Capuano aveva regalato una sua mozzetta proprio a Gaetano Rizzuto, una delle tante che possedeva, naturalmente a serramanico, con la lama in acciaio inossidabile da sei centimetri e mezzo di lunghezza, per un totale di quindici centimetri a lama aperta. E quella mozzetta adesso era a terra, vicino alla poltrona nella quale era sprofondata Angela Cassetta, fresca moglie di Gaetano Rizzuto, con lividi alle braccia e al viso, vestito strappato e sporco di sangue, lacrime irrefrenabili. Eleonora Rizzuto e Salvatore Capuano erano appena entrati nella villetta della coppia, chiamati da Angela Cassetta, prendendosi immediatamente cura lui del giovane, con ancora la mozzetta in mano, e lei della moglie. Salvatore Capuano gli aveva per prima cosa fatto cadere il coltello dalle mani, allontanandolo col piede, poi l’aveva preso tra le braccia per calmarlo, mentre Eleonora Rizzuto soccorreva lei.

Il racconto è integralmente incluso nel libro Un gioco nel fango, pubblicato a gennaio 2023.

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