La metafora del labirinto è antica e universale. In realtà, ogni luogo e ogni non-luogo può essere visto come un labirinto, con e senza il Minotauro.
(Nella foto, Escher, Relatività, 1953)
Mi presentai di buon’ora all’ingresso della scuola, con un portone moderno e ampio. L’edificio scolastico era grande e architettonicamente ardito, ma tutto sommato sembrava ben inserito nella struttura urbana circostante, fatta di edifici più o meno grandi, più o meno complessi, più o meno interconnessi da strade, piazze, ponti e gallerie. Una volta nell’atrio, mi sorpresi dell’enorme spazio riservato ad un ambiente con funzione principale di disimpegno e cercai di capire dove fosse collocata la portineria, presso la quale mi sembrava opportuno presentarmi. Guardando però tutto intorno al luogo approssimativamente circolare nel quale mi trovavo, sovrastato da una grande cupola, più comune ad una vasta chiesa o ad alcuni moderni centri commerciali in stile belle époque che ad una scuola, non mi riuscì di vedere nessun riferimento, cartello o freccia che mi segnalasse la portineria. Per la verità non notai cartelli e segnalazioni di alcun genere, come se ognuno dei presenti sapesse esattamente dove andare e fosse perfettamente capace di orientarsi tra i molti corridoi, porte e anfratti che si aprivano da ogni parte della circonferenza dell’atrio. Devo ammettere che, nonostante ci fosse un andirivieni continuo di persone che attraversavano lo spazio intorno a me secondo linee rette, curve, spezzate e miste, il traffico procedeva a velocità sostenuta, senza alcun intralcio, interferenza, intoppo o stallo.
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Il racconto è integralmente incluso nel libro IL LABIRINTO, pubblicato ad aprile 2020.