“Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia.”
Albert Camus(Nella foto, Aria Art Gallery Istanbul, So Close So Far, 2019)
Non so dire come, ma il discorso finì per cadere sulla morte. Tema probabilmente da evitare, visto che tutti e quattro noi eravamo oltre i sessantacinque anni, un paio anche oltre i settanta. Forse è la volontà di esorcizzarle che, magari inconsapevolmente, rende ragione di cose come queste, affrontare ragionamenti su cose spiacevoli. Naturalmente niente di troppo serio e filosofico, solo poco più che facezie intorno al modo e alle circostanze nelle quali sarebbe preferibile morire. Io mi ero trovato d’accordo con uno degli amici nell’affermare che una morte serena, senza sofferenze, magari nel sonno, fosse la cosa migliore. Un altro amico, più vicino ai settantacinque che ai settanta, ben portati per la verità, fece invece la dichiarazione critica, affermando che la sua preferenza andava decisamente ad una morte mentre si sta facendo l’amore, trombando, così per la verità si espresse, la migliore delle morti, nel pieno del piacere. Tutti facemmo un sorrisetto di circostanza, un misto di cortese aderenza alla tesi e di sufficiente accondiscendenza verso la banalità dell’uscita, forse più una battuta che altro. Il quarto amico, ritenne però di aggiungere qualcosa. Abbiamo addirittura un vero e proprio esperto della bella morte qui tra noi! Morte e sesso, un’accoppiata strabiliante. Immagino che sia solo una specie di fantasia erotica la tua, alla tua età ormai certe cose devono essere solo un ricordo di tempi lontani. Come si dice in questi casi? Per sollevarlo ormai ci vuole una gru. L’ilarità si diffuse nel gruppo. L’amico interessato ci tenne però a ribadire che lui non correva questo rischio, che la sua attività sessuale era più che soddisfacente, sia per lui che per la partner. Evidentemente l’amico provocatorio aveva deciso che voleva divertirsi. Lasciando da parte le rispettive partner, mogli o amanti che siano, non dobbiamo escludere niente, ecco qui allora un vero e proprio esemplare di grande trombatore. Un riccio o un coniglio, mi sembra che siano loro i più attivi a questo riguardo. Allora che divertimento sia, decisi quindi di entrare anch’io nel gioco. A me risulta invece che tra gli animali che si accoppiano di più ci siano i topi di fogna, le comuni zoccole, che forse devono il proprio nome proprio a questo, maschi o femmine non fa differenza. Pare che facciano sesso fra di loro circa venti volte al giorno. Allora sei proprio in buona compagnia, aggiunse l’amico rimasto ancora fuori dal gioco, insieme a ricci, conigli e zoccole! Questa volta fummo solo tre di noi a ridere. L’amico preso di mira era un pizzico risentito. Ho capito, disse, mi volete mettere in mezzo, prendervi gioco di me, ma io ho solo espresso il parere che la morte mentre si sta facendo del sesso sarebbe una buona morte, se proprio si deve morire. Non farla troppo semplice, ribadì l’amico che aveva iniziato il gioco, nel tuo elogio della morte durante una trombata era implicito che tu ti volessi accreditare come esperto e tuttora ampiamente praticante delle trombate, per farci pesare una tua vantata frenetica attività sessuale. Ha ragione, intervenni io, che poi alla tua età è anche pericolosa, rincarai la dose, c’è proprio il rischio che la morte possa giungere nel pieno dell’impresa, per così dire. E sei sicuro che in tal caso ti starebbe bene, saresti proprio contento? Infatti, il pericolo c’è, aggiunse l’amico provocatore, ho letto a riguardo del comportamento di un piccolo roditore australiano simile ad un topo, chiamato antechino. Pare che i maschi siano così ossessionati dal sesso che durante la loro unica stagione riproduttiva durante tutta la loro breve vita non dormano a sufficienza, dedicando quasi tutto il loro tempo all’accoppiamento, fino a ritmi di dodici/quattordici ore al giorno. L’assenza di sonno porta i maschi a morire in massa, perché compaiono ferite della pelle, perdita di pelo, disorientamento mentale, aprendo la strada a parassiti, malattie e facilità a cadere vittima dei loro predatori. Hai capito il pericolo che corri, ritenne utile insistere l’amico fino ad allora meno ciarliero. E pare addirittura che la porte improvvisa per arresto cardiaco durante o a seguito di un rapporto sessuale sia particolarmente dolorosa, roba da fare invidia a più di una morte con sofferenze. Dove l’amico avesse preso tali informazioni e se fosse un dato vero era per lo meno dubbioso, ma mi astenni dal commentarlo, mostrando invece una faccia contrita e partecipe. Mi avete proprio stufato, sbottò l’amico trombatore dichiarato, con voi non si può parlare seriamente né esprimere il proprio pensiero, perché subito ne fate occasione per ridicolizzare. Si allontanò quindi sdegnato dal gruppo, prendendo la strada di casa. Noi tre rimasti ci guardammo reciprocamente in faccia e scoppiammo a ridere. Non avremo esagerato, feci io? Ma dai, fece l’amico alla mia destra, il provocatore, se l’è tirata, con quella sua uscita da maschio superiore particolarmente attivo. Poi gli passa. E comunque, la morte è cosa troppo seria per simili accostamenti. Ho visto e ho sentito di persone morte con grandi sofferenze, per malattie e incidenti, quindi concordo anch’io che una morte indolore sia la cosa migliore che uno possa augurarsi. Eravamo tornati ad essere tutti e tre molto seri. Io direi qualcosa in più, aggiunse l’amico alla mia sinistra, magari è solo una sciocchezza, ma comincio a chiedermi se al momento della mia morte, sperabilmente indolore, possa dirmi soddisfatto della vita che ho vissuta. Un discorso interessante, convenni. Intanto, credo che il fatto stesso che tu abbia vissuto, che tu viva, che noi tre qui tutti insieme abbiamo avuto la possibilità di avere la vita, grazie a Dio, al destino o alla sorte, scegli tu, sia di per sé motivo di soddisfazione. La vita è una bella cosa, una cosa meravigliosa, forse non ce ne rendiamo conto a sufficienza. Inoltre, da una prospettiva puramente darwiniana, come specie umana, vivere significa contribuire all’esistenza della specie ed essere potenzialmente in grado di perpetuare la specie stessa, mettendo al mondo dei figli. Tu, con le tue due figlie hai fatto la tua parte, io ho fatto la mia con mio figlio e lui, indicai l’altro amico, ha fatto anche di più con i suoi tre. Va anche detto, aggiunse l’amico tirato in ballo, che tu e tutti noi col nostro lavoro abbiamo contribuito al benessere della nostra specie, della società nel suo insieme e di noi stessi, delle nostre rispettive famiglie, ci siamo presi cura della famiglia, abbiamo provveduto e provvediamo ancora ai bisogni dei figli e dei nipoti che già ci sono e che ci auguriamo verranno, abbiamo costruito qualcosa, ci siamo preoccupati del futuro. Tutto giusto, replicò pensieroso l’amico diventato problematico, tutto vero, ma voi vi state concentrando più su cose basilari, materiali, io mi riferivo soprattutto ad aspetti più immateriali, esistenziali, non so se chiamarli filosofici, sociali o forse anche morali. Ho capito, dichiarò sorridendo l’altro amico, alla mia sinistra, vorresti aver compiuto nella tua vita qualche atto eccezionale, un’impresa eroica, tale da meritare una statua o una medaglia, finire magari nei libri di storia o almeno essere inserito tra gli uomini illustri della nostra cittadina. Guarda che ogni vita, da quella dell’uomo più miserabile a quella dell’uomo più eccezionale o di successo, dico uomo per semplicità e senza riferimenti di genere, è degna di essere vissuta e ha in assoluto lo stesso valore. Ma smettila, fu la replica dalla mia destra, niente di così pretenzioso e ostentato, di pubblico, né è mia intenzione dare valore diversificato alla vita degli uomini, penso a una cosa più privata, personale, tutta mia, qualcosa che mi faccia sentire orgoglioso di aver fatto. Credo di aver rispettato il mio prossimo, assolto molto dei miei doveri sociali e di cittadino, non ho mai rubato, fatto del male e neppure ucciso, come credente ho seguito i precetti religiosi, vado anche regolarmente a messa. Ma mi chiedo, basta questo a rendermi soddisfatto della mia vita, a dare valore alla mia vita? Non è che ti stai facendo troppi problemi, più del necessario, feci io? Non ti starà venendo la vecchiaia triste, per così dire, allo stesso modo della sbornia triste che a volte prende dopo una buona bevuta? Vecchio sarai tu, rispose lui, ma probabilmente hai ragione, il mio è un discorso troppo fumoso e addirittura privo di senso. Arrivò ancora la voce dalla mia sinistra, non potrebbe essere che una vita soddisfacente, che valga la pena vivere, sia semplicemente una vita felice, fatta di buona salute, affetti e amici, benessere, in piena libertà e armonia? In fondo, nessuno vorrebbe vivere una vita fatta di sofferenza, solitudine, povertà, guerre e soggetta a costrizioni di vario tipo. Questo è però troppo semplicistico, ribattei io, penso ai tanti che hanno probabilmente vissuto una vita di indigenza, di limitazioni e anche di sofferenza perché si sono impegnati, hanno creduto e hanno lottato per un ideale di libertà, di giustizia, di uguaglianza civile, sociale e umana. Ognuno di loro sarà stato convinto di vivere una vita che desse loro un senso, anche se forse non felice. Bravo, il complimento arrivò dalla mia destra, hai colto nel segno, forse mi chiedo proprio se ho fatto la mia parte in questo senso, se ho mai fatto la cosa giusta, creduto e preso posizione per una giusta causa, in nome della libertà, della verità, della giustizia, di una società giusta e più solidale, più umana. Nel mio piccolo, voglio dire, io proprio, come uomo. Oppure sono stato puramente apatico, ho evitato di scegliere da che parte stare, tutto preso dall’attenzione al mio interesse, ho voltato la faccia dell’altra parte. Ci fu silenzio. Ognuno di noi tre, non solo l’amico che aveva sollevato la questione, probabilmente intento a porsi le stesse domande, a riandare con la mente a qualche episodio di colpevole indifferenza, di meschinità, oppure a cercare disperatamente nella propria vita una traccia di dignità, di valore, di umanità. Mi tornò improvvisamente in mente una frase di Salvador Allende, scritta prima di spararsi quando i golpisti avevano ormai preso la Moneda: vale la pena morire per le cose senza le quali non vale la pena vivere. Evitai di citarla. Noi tre, così piccoli e insignificanti. Fu l’amico alla mia sinistra che ruppe il silenzio, ci riportò alla nostra dimensione reale. La prossima volta, disse, si parla però solo di donne.
